martedì 27 settembre 2011

Parlando di cinema: come dicono "ti amo"

La cosa più importante per un'attore e per un'attrice è saper dire convenientemente la fatidica frase: "Ti amo" senza aver l'aria di una tinca asmatica. Alla fine o al principio di un film, non c'è santi, bisogna dirlo, e qui vi voglio. L'artista si riconosce proprio da questa frase che è per l'attore come il Teorema di Pitagora per lo studente di terza ginnasiale. Però una volta imparato non si dimentica più. La regina, anzi quasi l'inventrice di questa parola, fu Lida Borelli: si scioglieva i capelli, i quali avevano il secondo fine di scopare accuratamente il pavimento, si apriva in maniera preoccupante le vesti sul seno, muoveva qualche passo felino in direzione diagonale, poi sveniva tra le braccia del suo antagonista.
La gran frase era detta. Francesca Bertini aveva altri metodi. Si ammaccava gli occhi di nero cupo, inseriva all'angolo delle sue labbra piene di perfidia un bocchino lungo svariati chilometri, dilatava le narici a più riprese, e aveva un ghigno crudele prima di decidere se era il caso che morisse lei o il suo socio. Un brivido gelato percorreva la schiena di tutti gli spettatori. E il gioco era fatto. Ma, inventato il cinema sonoro, questi mezzi divennero insufficienti e bisognò sostituirli con le parole "ti amo".
Gli americani, dopo vari tentativi, trovarono migliore il sistema di spiegarsi con un esempio, e fu così inventato il bacio a lungo metraggio. De Sica provò anche lui a dire la classica frase: "Ti amo", ma tanto è semplice nella vita, quanto è complicata sullo schermo. Allora invece di dirla la cantò. Era più efficace. Dette su un ritmo di valzer o di fox, queste parole diventarono addirittura elettrizzanti.
Antonio Gandusio era specialista in dichiarazioni. Fissava la preda, si schiariva la voce, e: "Eh eh, che bella donnina, volevo dirvi, coso, che, coso, io vi, insomma, io vi amo. Eh eh". E Armando Falconi? Semplicissimo. Aveva un linguaggio cifrato, un segno convenzionale delle sopracciglia. Umberto Melnati era vittima della sua indecisione. Aspettava, tergiversava, e non arrivava mai in tempo a dirlo. Assia Noris scuoteva i riccioli, metteva il gran pavese al suo viso, imbandierandolo a festa con un sorriso smagliante che provocava il corto circuito agli occhi, i quali si incendiavano di brio. "Ti amo", diceva, o lo lasciava eloquentemente intendere. Doris Duranti aveva gli amori tristi, riflessivi. Il suo volto si incupiva, i suoi capelli si facevano più scuri, gli occhi più fondi. E... care amiche, resistete se potete ad una dichiarazione fatta a questo modo da una ragazza di quel calibro. Nazari lo diceva tra l'indaffarato e lo sportivo, come il corridore al microfono dice: "Sono contento di essere arrivato primo". Alida Valli lo diceva "alla scolaretta", Maria Denis alla "scanzonata". Isa Pola col "pathos", Macario rialzando i pomelli e le sopracciglia. Appuntava un dito al petto dell'indiziata: "Sampete cosa mi campita? Ma va là, lo sampete benissimo. Beh, si va, si va, a fare una passengiata insieme?". Ognuno a modo suo, nei romanzi d'amore offerti al pubblico. Ma per quelli privati? Sono tutti d'accordo nel raccontare che a furia di dire "ti amo" per finzione, hanno dimenticato come si fa a dirlo sul serio. Sarà vero? Essi di certo mentono.


A. M. T.