domenica 18 novembre 2012

La ragazza di pietra

"Vuoi farmi un piacere?
Questo mio amico, Stefano, direttore d'una industria d'acciaio, è continuamente e diabolicamente indaffarato. Clienti, officine, operai, tratte, sconti, forniture. E milioni: tanti milioni.
Vuoi farmi questo piacere?"

"Sentiamo".
"Tieni questi biglietti da cinquanta. Non spalancare gli occhi. So quello che pensi in questo momento: Ah, se fossero i miei! E invece non sono tuoi. Beh, corri in banca. Fammi un assegno circolare da cinquecento, intestato a questo nome. Mettilo in questa bura e spedisci per assicurata. Hai ben capito? Ho una fretta spaventosa: un ordine improvviso: fra dieci minuti devo partire per Bologna. E fatti vedere, una di queste sere, a casa mia. Ricordatene. E mi raccomando l'assegno e l'assicurata. Ciao. Arrivederci".
Rimise in moto la macchina e scomparve.

Piazza Castello era ovattata di nebbia. Le undici del mattino. Una giornata tediosa. Gianni non sapeva dove andare. E lo infastidiva tutta questa gente che gli passava vicino, che lo urtava, che correva, si affannava. In galleria pochissima gente. Soliti gruppetti d'artisti; qualche parola scritta e riscritta sui muri; soliti ragazzini a spasso e non a scuola.
L'aria era grigia e sporca. Ma nel grande bar dove Gianni entrò, l'atmosfera era diversa. C'erano i paralumi d'un color rosa confetto, le poltrone invitanti, un silenzio piacevole, ch3e offriva conforto e raccoglimento.
"Un campari".
Dal suo postici d'angolo, Gianni vedeva un pezzo dell'ottagono della galleria. Una libreria sbandierava le ultime novità editoriali. Un'agenzia di viaggi decantava le vacanze più belle. Dieci giorni a Zanzibar. Una settimana a Vienna. Maggio a Malindi...
Improvvisamente una giovane donna fece il suo ingresso, lasciando dietro di sé una scia di buon profumo; sedette al tavolino accanto al suo. Una tipa interessante, una tipa... deliziosa: ecco l'aggettivo esatto. Aveva una giacca lunga grigioperla, fliente, come s'usavano all'epoca; un cappellino strano, molto piatto, che assomigliava...
Gianni rinunciò al paragone: ad ogni modo, le stava molto bene. Il viso era davvero d'un ovale perfetto; gli occhi vellulati, come quelli d'una gazzella: benché in vita sua non avesse mai visto una gazzella.
La guardò attentamente. Nulla. Sembrava non essersi accorta della sua modesta presenza. Aveva preso dalla borsa un magnifico astuccio e si era accesa una sigaretta fatta a mano. : lo ammalinconiva, ecco. Pensava che nella sua breve o lunga vita non avrebbe mai avuto una donna simile. Ed era davvero disgustato dalle avventurette con donne insignificanti. Desiderava avere una bellissima donna al suo fianco; una donna che indossasse un magnifico abito all'ultima moda; scarpe bellissime; un cappellino grazioso. Una donna, insomma, profumata, vivace, istruita. E invece, nulla. Per consolarsi, Gianni guardava allora la donna elegenatissima che prendeva il suo caffè con mosse da regina di corte. Che donna. Aveva le mani bianchissime, soffici; le unghie scarlatte, certe labbra e certi denti bianco splendenti...
Gianni tossicchiò. Si curvò un po' verso di lei, tentando anche un sorrisetto. Nulla. Poi lo onorò d'uno sguardo indifferente, gelido, che li disarmò. Gianni siguardava istintivamente nello specchio che aveva di fronte. Era palliduccio anzichenò; la sua cravatta non era più nuova, era evidente; il suo abito non era proprio all'ultimo grido; e la sciarpa che l'avvolgeva negligentemente il collo, per esempio, era un po' sbiadita. Tutti questi particolari li notava soltanto ora, in quell'ambiente di lusso. Naturalmente.
"Cameriere".

Un'idea bislacca. Voleva pagare con uno di quei bigliettoni da cinquanta del suo amico Roberto. Dieci biglietti da cinquanta. Una piccola ricchezza. Sfogliò negligentemente il mazzetto, ne prese uno con suprema noncuranza e lo gettò teatralmente sul tavolino. Il cameriere s'inchinò: potenza odiosa del danaro.
Oh, oh! Anche la bellissima donna, se ne accorse immediatamente, aveva lanciato uno sguardo dalla sua parte; prima con noncuranza, poi con estrema attenzione. Il suo viso s'era come raddolcito; un impercettibile sorriso aveva stirato le sue labbra purpuree. Lo guardava con amabilità, ora. Gianni ne approfittò. Arrischiò una frase, sciocca purtroppo: ma in quel momento non ne aveva altre a sua disposizione.
"Fuori c'è un'aria davvero gelida".
"Sì. E questa nebbia, poi, che immerge la città in uno smisurato bicchiere di latte, è odiosa".
Parlava bene. Bellissima la similitudine del bicchiere di latte. L'accento tuttavia tradiva le sue origini: non appariva italiana. Forse dell'est... anzi, nordica. Ma questo non aveva importanza: quella voce era deliziosa, da contralto; denti madreprlacei e labbra sensuali.
"Permettete?"
Quando una persona ha fogli da cinquanta in tasca può permettersi qualsiasi atto, anche se condannato severamente dalle rigide regole della galanteria. Si sedette vicino a lei. La fissò lentamente negli occhi.
"Il sole..." mormorò, "verso mezzogiorno è come un bimbo malato. Guardate lassù gli effetti di luce".
"Certamente".
Uscirono. Era alta e camminava ondulando sulle anche nervose. Sguardi astiosi delle donne; di ammirazione dei giovincelli. Crepate tutti, pensò. Comminarono. Vie del centro. Si chiamava Elina e viveva a Torino da un paio di mesi, sola, in un appartamento in un quartiere elegante. Parlava con estrema grazia.
"Torino è una bellissima città. Peccato che il clima d'oggigiorno..."
"Ma la sera," disse subito Gianni, "la sera ci sono i locali scintillanhti di luce. E la Mole Antoneliana a vegliare sulla città."
Gianni arrischiò poi una domanda che lo premeva sulle labbra:
"E se vi chiedessi di rivedervi ancora, domani sera, per esempio? Alle nove, all'ingresso della galleria".
Elina rise, minacciandolo scherzosamente col dito.
"Provate a chiedermelo. Chissà?"

L'indomani sera, alle nove, all'ingresso della galleria, Gianni quasi non ci credette: Elinia arrivò, ancora più bella ed elegante, con quei lunghi capelli mossi di un biondo splendente.
"Puntuale?"
"Puntualissima. E sono felice. Tutt'oggi è stato un tormento per me. La vostra deliziosa immagine m'ha perseguitato come un creditore, come un ufficiale giudiziario".
La similitudine, come a tutti quelkli che non avevano mai avuto a che fare con un ufficiale giudiziario, la fece ridere di cuore.
"Dove si va'" chiese, guarandosi attorno.
Poche storie: aveva in tasca solamente un miserabile pezzo da cinquanta. Quella mattina, dopo il piacevole incontro al bar, era dovuto andare in banca per rispettare il favore che aveva promesso al suo amico Roberto. Ora, quella sera, Gianni non poteva più sfogare una presunta ricchezza. Aveva attinto da parte dei suoi risparmi, ma non poteva fare di più. La prospettiva di un nuovo lavoro era ancora troppo lontana.
Quella sera avrebbe dovuto improvvisare, in qualche modo. Cercò di attrarre la bionda Elina in un locale modesto.
"Se andassimo", disse con un vocino da telefono, "se andassimo al cinema? C'è questo nuovo film..."
"No", rispose decisa. "Ci sono state di recente, nessun film che ne valesse la pena. Quindi neanche per sogno. Andiamo invece al Teatro Regio, c'è una bellissima opera. Andiamo?"
E sia! Andiamo, per tutti gli dèi. Al Teatro Regio! pensò Gianni assecondando i desideri della giovane donna. Poi però si mise a riflettere: Oddio. Non c'era mai stato. Che prezzi vi praticavano? E poi: quali posti? Ma inarrestabile Elina lo tolse da ogni incertezza.
"Prendiamo due poltrone tra le prime fila. Voglio vedere da vicino gli abiti di scena".
"Due poltrone tra le prima fila, se possibile", chiese con un soffio di voce al bigliettario chje troneggiava dentro alla sua postazione, sicuro e inesorabile. "Quanto?"
"Due poltrone? Vicine? Bene. Siete fortunati, abbiamo ancora la terza fila. Numeri 8 e 9. Sessantacinque e venti, a testa".
"Eh?"

Quella sera Gianni ed Elina non entrarono mai al Teatro Regio, poiché egli aveva in tasca soltanto uno stramaledetto pezzo da cinquanta. Cercò in ogni modo di trascinarsi fuori da quella situazione nella maniera meno umiliante possibile, ringraziando il bigliettario e allontanandosi senza fornire spiegazioni dirette, quasi trascinando con sé Elina, che nel frattempo lo guardava con aria imperiosa. Si ritrovarono in un angolo deserto della piazzetta, e a Gianni sembrà che anche la Mole lo guardasse con infinita commiserazione. Anche Elina continuava a guardarlo con fare meravigliato, in attesa impaziente di una sua spiegazione. Lui le parlò con calma, con un filo di vera tristezza nella voce.
"Elina, ascoltatemi, vi prego. Non sono ricco come ho voluto farvi credere. Non posseggo sfacciati bigliettoni o carte scintillanti. Quelli che avete visto ieri? Ecco, lo confesso: non erano miei. Un mio amico, Roberto, presidente di un'industria, me li aveva dati per fare un assegno bancario. Ha avuto sempre molta fiducia in me. Povero ma onesto, fino alle lacrime. Pazienza. Io? Che cosa faccio? Lavoretti saltuari. Piccole cose che mi consentono di vivere modestamnte".
Silenzio. La piazzetta era sempre deserta. Ma ecco, una macchina passò vicino a loro, quasi sfiorandoli, fermandosi poco lontano. Ne scese un uomo, alto, aitante: il suo amico Stefano.
"Eccolo", sussurrò colpito. "Eccolo quel mio amico di cui parlavo. E' lui il fortunato proprietario di quei soldi. Stefano... ricordo che da bambino non era che uno scimunito. E invece ora..."
Elina lo guardò. Gianni insistette: "Elina, conosco un bel locale in periferia. Vi offrirò qualcosa da bere, lì poi hanno sempre della buona musica e..."
Improvvisamente si accorse che Elina non lo ascoltava. Lo guardava invece distrattamente. All'improvviso sorrise: ma per Gianni fu quasi uno spavento. Il sorriso era accompagnato da due occhi freddi, lontani. Lo stava giudicando. Poi la giovane donna si passò una mano sulla fronte.
"Ho una forte emicrania", disse con voce indifferente. "Non mi sento bene. Devo andare."
Gianni cercò di nascondere la sua delusione e la profonda tristezza che stava per abbattera le mura che difendevano a stento il suo stato d'animo. Ecco, non le interesso più. Ma Elina continuò.
"Senti, potremmo rivederci domani sera. Va bene? Stesso posto, stessa ora."
Il giovane uomo si sentì quasi risorgere: il suo corpo fu pervaso da una nuova, sensazionale scarica di energia positiva. Sì! Sono ancora in corsa!
"Ti ringrazio per la serata. Prenderò un taxi per rientrare, così in pochi minuti sarò a casa. Buona notte, a domani".

La bocca

E' inutile illustrare l'importanza che la bocca ha nel volto: ogni donna interrogando il proprio specchio s'arresta sempre a considerarla, cercando di migliorarla con tutti gli artifici a lei consentiti.
Il colorito delle labbra dipende soprattutto dallo stato della salute e dalla qualità dei tessuti dermici.
Alla volte alterano la tinta e la freschezza naturale delle labbra alcune brutte abitudini: ad esempio passarsi ogni momento la lingua sulle labbra stesse o mordicchiandole coi denti: in tal modo s'irrita e si lacera la sottile cuticola, la bocca diventa tumefatta, scabra, di un brutto colore, mentre il contatto con l'aria fredda provoca subito delle screpolature.
Le alterazioni delle labbra più facili a prodursi, specialmente durante l'inverno, sono appunto le screpolature che dipendono generalmente dallo stato di aridità della mucosa prodotto o dal vento o dall'uso di certi dentifrici, contenenti antisettici irritanti.
Contro la secchezza e le screpolature può bastare come mezzo preventivo l'uso di una pomata al burro di cacao spalmata con parsimonia sulle labbra. Come mezzo curativo, per le persone che vanno soggette a questo inconveniente, solo in via di eccezione, è utile la glicerina. Per chi invece soffre abitualmente dell'alterazione in parola, la glicerina non è consigliabile, perché, ripetutamente applicata alle labbra, le rende opache, le anemizza, diminuisce la loro elasticità sfiorendole anzi tempo.
Consiglio invece la seguente forma:
Cera vergine gr. 10 - olio di mandorle dolci gr. 30 - tintura di benzoino gr. 4.
L'uso del rossetto deve essere fatto con qualche precauzione, e cioè servendosi di prodotti fini e garantiti, ma ritengo inutile dar qui ricette, poiché ogni lettrice ha già il suo rossetto preferito, a cui difficilmente rinuncerà. In genere fra le matite per le labbra, sono da preferirsi quelle d'una tinta moderata, poiché un colore troppo vivido non è mai signorile. Naturalmente, vi sono dei volti sui quali una bocca rossa sta bene, ma bisogna provare e riprovare prima di adottare una tinta.
Quando si usano i rossetti alle labbra bisogna ogni sera addolcire con un unguento, affinché il colore artificiale a lungo andare non dissecchi e avvizzisca la cuticola tanto sottile e delicata. Una pomata al burro di cacao; basta per solito a neutralizzare gli effetti del rossetto e se vi fosse qualche screpolatura, converrà spalmarvi, prima di andare a letto, un po' di miele rosato. Vi sono persone che, senza colorire artificialmente le labbra, le hanno per natura aride, e che toglie loro la levigatezza e quell'umida freschezza che le rende tanto belle: inoltre le labbra asciutte, appaiono per lo più increspate e d'un color violaceo.
Contro l'aridità si farà, alla sera, una lunga, leggere frizione colla pomata canforata, lasciandovela per dieci minuti, trascorsi i quali, si asciugherà la bocca, spalmandola poi con una miscela d'acqua di rose e glicerina in parti uguali.
Un piccolo male fastidioso che altera la bellezza del labbro, è quell'eruzione che si chiama comunemente herpes. L'herpes labiale è solitamente causato da un virus (Herpes simplex) che può essere contratto in seguito a contatti fisici (baci, saliva, ecc.) con persone già infette. Il virus può rimanere latente per molto tempo prima di manifestarsi, a causa di vari fattori. Molte persone vanno soggette a questa noioso e antiestetica fioritura. Purtroppo si tratta di una malattia cronica e non può essere debellata in modo definitivo: esistono tuttavia trattamenti lenitivi. Oltre ovviamente a seguire i consigli e le tipologie di farmaci raccomandati dal vostro medico, nel mio piccolo posso suggerire un vecchio metodo della nonna, ossia toccare leggermente l'eruzione con dell'allume in polvere.
Benché meno visibili, anche le gengive hanno importanza nella bellezza della bocca, specialmente quando, ridendo, si scoprono facilmente. Anch'esse devono essere rosa, sode e sane in tal modo meglio risalta ilc andore dei denti mantenendoli bene incstrati nei loro alveoli. Le gengive pallide o spugnose rivelano un organismo debole soggetto ad anemia, clorosi ed anche a diabete.
Si ricerchi anzitutto la causa nascosta, invece di curare unicamente la parte.
Scoperto il motivo dell'alterazione si curi localmente la mucosa con infusi di foglie di genziana e di altre piante astringenti, masticando, se è possibile, quella speciale erba detta crescione ed anche scorza di cannella. Altrimenti si può usare un colluttorio a base di tannino e di iodio, così facendo si eviterà lo scalzarsi dei denti.

sabato 17 novembre 2012

L'illusione perduta

Nell'entrare nel salone del Grande Albergo, dov'era giunta quella mattina, Elina credeva che vi regnasse ancora la calma. E invece vi si ballava da un pezzo, animatamente. Simona Ariosto, gloriosa cantante in riposo, aveva già esaurito con un do di petto da campanello la sua esibizione e, seduta ora sotto un arco di porta, cercava di rendersi utile come meglio poteva alla direzione, che le offriva sei mesi all'anno di pensione gratuita. A pranzo, poco prima, lei aveva scambiato con Elina, da un tavolino all'altro, le solite vaghe chiacchiere che sono le prime d'una amicizia d'albergo. Svedese? Giunta a Torino da Östersund? E perché di passaggio? Parigi, in aprile, era troppo fredda ancora... che andava a fare a Parigi? Meglio Torino.Adesso, rivedendo nel salone la sua vicina di tavola e accorgendosi che, volte le spalle, stava per uscirne non appena entrata, l'aveva salutata con un sorriso e poi chiamate a sé con un cenno.
"Non vi piace danzare?"
Elina non mentì. Avrebbe potuto rispondere che, stanca del viaggio, preferiva ritirarsi per tempo quella sera. Ma ebbe timore d'arrossire e di denunciare così il rammarico della sua forzata rinuncia. Rispose la verità: che non aveva conoscenze in albergo. Ma nascose un'altra verità, quella che nessuna donna confessa neanche a sé stessa, nel vedersi esclusa da una preferenza accordata ad altre: che veniva da poco da una terribile relazione e di ritenersi assai sciupata fisicamente...
Ma già l'occhio della cantante aveva fermato a distanza qualcuno, e l'attraeva, magnetico, nel'orbita della sua voluminosa persona.
"La signorina Elina Strömberg... Monsieur Rinaldi, il nostro simpaticissimo addetto..."
Il giovinetto s'inchinò, invitandola. Era alto, bello, elegante, inguantato nella sua marsina come un antico, perfetto figurino. Addetto a cosa? La signora Ariosto aveva omesso di dirlo, o forse lei non aveva sentito bene; ma certo l'elegenza del vestire e la correttezza dei modi denunciavano in lui il gentiluomo. E come ballava bene!
Mentre la musica strappava altre coppie qua e là per poi riunirle in uno stretto cerchio come fa con le foglie il vento d'autunno, Elina, fra le sue braccia, si sentiva lieve come una boccata di fumo in un'aria tranquilla. Ondeggiava. Svaniva un poco. Si ricomponeva in spire sinuose. E saliva, saliva...
Da quanto tempo non ballava più? Da un anno e mezzo certamente. Ne avrebbe compiuti trenta entro pochi giorni. Dopo che ad Oslo, ad un ricevimento, s'era rifiuata d'accettare un invito al ballo, Elina aveva disertato ogni attività mondana e s'era chiusa nella tetra malinconia di quei suoi viaggi solitari attraverso l'Europa, trascinando da una città all'altra il vuoto della sua sterile vita e il freddo del suo cuore senza un palpito solo.
Finito quel primo giro, Elina avrebbe voluto rivedere la cantante, per ringraziarla e salutarla prima di risalire; ma, vedendola circondata da altri, sicuramente ammiratori ed illustri personaggi, non osò avvicinarsi. E poiché intanto quel bel Rinaldi era ancora lì fermo ad aggiustarsi la gardenia all'occhiello, come se desideroso di fare un altro giro con lei ed incerto se chiederlo o no, Elina si fece ardita per lui e s'invitò da sé. Sapeva di ballare anche lei molto bene. Non voleva illudersi. Non voleva attribuirlo ad altro.
Ma ciò le dava già una sicurezza.
Al quarto giro, poiché continuavano sempre a ballare insieme, lei gli chiese, sorridendo, in perfetto italiano:
"Faremo dunque coppia fissa stasera?"
Anch'egli le sorrise, pur senza risponderle; e lei ne fu così felice che non esitò ad essere anche un po' maligna... vedeva lì, seduta accanto alla madre, una fanciulla bellissima, che nessuno ancora invitava, e fece di tutto per passarle accanto, per attrarne lo sguardo, per esserne veduta e invidiata fra le braccia del suo bel cavaliere...

Verso l'una di notte, finito il ballo e congedatasi da lui, Elina uscì a respirare all'aperto. Aveva bisogno di aria, di cielo, di stelle. Ve ne erano tante lassù: tutta una limatura, infinite. E la notte era tiepida. E vampe d'aromi giungevano dai giardini circostanti, quasi stordendola.
Non passeggiò. Era stanca e le decolté avevano messo a dura prova i suoi piedi. Sedette su una panchina posta sotto un tiglio, in uno dei viali dei due grandi giardini che offriva l'albergo. Era pressoché deserto a quell'ora, la tranquillità regnava sovrana. Elina si strinse un poco nella giacca, rabbrividendo un po' per una brezza che s'era levata leggera. Intorno era buio, solamente qualche lampione posto qua e là offriva la sua luce come punto di riferimento.
Perché non aveva chiesto al Rinaldi di uscire a prendere una boccata d'aria con lei? Vedeva di tanto in tanto altre coppie passarle accanto, sparire; e si rammaricava adesso di non essere più accompagnata. Certo, non poteva pretendere che lui le facesse quella proposta; ma forse il desiderio in lui c'era, poiché nell'aiutarla a indossare la giacca, s'era ancora indugiato lì accanto, come aveva fatto dopo il primo giro, in un'attesa che non chiedeva altro che di essere compresa ed esaudita. Avrebbe dovuto farsi lei, anche questa volta, un po' ardita. Perché non l'aveva fatto? Colpa sua dunque; o meglio, colpa di un'educazione troppo rigida ed ormai sorpassata, che l'obbligava a quei continui ritegni che allontavano le persone, anziché incoraggiarle.
Non voleva illudersi, con questo, che l'addetto Rinaldi nutrisse già qualche interesse per lei. Ma l'assiduità di quella sera poteva anche essere il segno d'una nascente simpatia. Forse, se l'avesse accompagnata lì fuori, egli non avrebbe mancato di manifestarle questo suo sentimento. Forse anche, fatto ardito dall'oscurità, le avrebbe detto cose non mai udite da lei; avrebbe steso un braccio; avrebbe cercato di carpirle una mano...
D'un tratto sussultò. Le ali di una farfalla notturna le avevano sfiorato una guancia, ridestandola da quel torpore di fantasia nella quale si era racchiusa. E si alzò allora di scatto per rientrare in albergo, quasi per cercarvi rifugio.
Rientrata nella sua stanza, per prima cosa si disfò dei tacchi gettandoli con noncuranza sul pavimento, quasi a volerli punire per la stanchezza accumulata nella serata. Con molta più cura si tolse l'abito, lungo e di un blu vellutato, dimostrando verso di esso una sorta di riverenza. Dopo un rapido strucco e una doccia rigenerante, si lasciò avvolgere dalla sua camicia da notte e si gettò nel letto, speranzosa di essere accolta presto alla reggia di Morfeo. Tuttavia, per lunghe ore non riuscì a chiudere occhio. In una ridda d'impressioni, di pensieri, di propositi nuovi, si faceva alcune domande alle quali non sapeva rispondere ancora. Perché, per esempio, quel desiderio di non ripartire più l'indomani mattina, se aveva già fissata la stanza a Parigi? Forse per le parole della Ariosto, che l'aveva avvertita che per Parigi non era ancora la buona stagione?

L'indomani, nella tarda mattinata, scesa nel vestibolo dell'albergo, Elina si avvide nello scorgere che molti uscivano dalla sala da pranzo e si sedevano ai tavoli disposti lì intorno per sorbirvi il caffè di dopo colazione. Ma lei non s'era addormentata che all'alba. Aveva dormito un sonno riparatore. E si sentiva fresca adesso, leggera, felice. I sentimenti della sera innanzi le si erano ancorati nel cuore con tutte le catene della passione.
La signora Ariosto la salutò dalla strada. Nella potente macchina d'una famiglia torinese andava in gita. Le gridò, agitando le braccia:
"Un saluto, signorina Strömberg! E buon viaggio. Spero abbia gradito il servizio!"
"Come?" il rumore del mezzo le impedì di sentire tutta la frase.
"Devo partire, mia cara, mi spiace. Chissà che non ci si incroci di nuovo, a Parigi... e la prossima volta..."
Le altre parole si perdettero, sovrastate dal fragore della macchina che si slancioava a divorare la strada. Nella nube azzurrognola dello scappamento aperto si videro però ancore le due braccia poderose della cantante agitarsi al saluto.
Elina non ebbe un solo attimo d'esitazione. Andata in segreteria, chiese di pagare il suo conto, avvertendo che sarebbe partita per Parigi nel pomeriggio. Era ormai più che ferma nel proposito di rincorrerla, dovunque, la sua nuova felicità, di non lasciarsela più sfuggire di mano.
"Ci sarebbe poi quest'altro piccolo conto da regolare..." le disse il segretario, mentre lei stava per uscire.
"Quale conto?"
"Il signor Rinaldi, il nostro addetto al ballo, ha finito ieri sera i suoi impegni, sicché..."
Elina si sentì agghiacciare.
"La signorina forse non sapeva?"
"Oh, sì... sapevo..." balbettò lei, mal riuscendo a nascondere il suo disappunto. "Sapevo benissimo... ma ero incerta..."
"Sul modo come regolarsi?"
"Ecco. Volevo anzi chiederne stamane alla signora Ariosto..."
"Di solito si dà immediatamente una mancia. Ma c'è anche una tariffa..."
E il segretario guardò nel suo taccuino.
"Cinque giri, non è vero?"
Elina sentì che le mancava il fiato.
"Cinque, sì, credo..." mormorò, cercando di dare alle sue parole un tono distratto e ridandosi intanto un po' di lucidalabbra.
"Rinaldi balla molto bene..." sorrise il segretario. "Ma certo sarebbe una bella cosa per lui, se potesse trovare ogni sera delle clienti così belle e affezionate alla danza..."
Elina tagliò corto.
"Quanto per ogni giro?"
"Dai venti ai cinquanta, di solito..."
Pagò. Ma, uscita che fu dalla segreteria, più che della rovina in cui era stato seppellito il suo sogno, ciò di cui più si dolse con se stessa fu d'aver messo a nudo un sentimento di cui era tanto gelosa, di aver fatto capire il suo inganno, di essersi esposta ancora una volta allo scherno altrui.
Ne arrossiva di collera, adesso.Se ne rimproverava come d'una colpa. Di avere pagato il prezzo della sua estasi coreografica non le rincresceva affatto. Ma non si rassegnava all'idea di essersi così esposta all'altrui commiserazione.
S'avviò per uscire. Ma dove andava adesso? Non sapeva più. Si arrestò sulla soglia. La mattinata era luminosa di sole, di chiarità, di letizia. Mandando bagliori dalla sua biancheggiante carrozzeria, una grossa auto di lusso s'avviava lungo la strada, lasciandosi dietro una piccola colonna di fumo. Racchette sulla spalla,
 una giovane coppia s'avviava verso il tennis; un'altra rientrava parlandosi sommessamente, gli occhi negli occhi, dicendosi senza dubbio parole d'affetto...

Sempre lì immobile, non sapendo più che pensare, che fare, Elina non sentiva che collera. Si consumava in quella segreta sua rabbia come una candela accesa in una corrente d'aria. E solo i suoi occhi continuavano spietatamente a vedere. Lì dirimpetto, sotto quel tiglio, lei si era concessa una fantasia inebriante che l'aveva distaccata dalla realtà. Ricordava tutto. Il profumo della notte tiepida, l'incanto dell'immenso giardino tranquillo, le ali della farfalla... e un solo rammarico non aveva più: quello di non aver chiesto a Rinaldi d'accompagnarla lì fuori. Almeno quello se lo era risparmiato, considerando tutto. Chissà? Su un taccuino d'appunti, annotato da un segretario di albergo per esserle ricordato prima che ripartisse, il primo bacio della sua nuova vita sarebbe stato forse segnato anch'esso ad un prezzo d'affezione e saldato in calce con una marca da bollo.


Baci baci.

Michaela

giovedì 15 novembre 2012

Rouge sulle labbra

Irrinunciabile per tutti, in ogni tonalità.
Dal rosso vibrante al malva profondo,
dal prugna intenso al mora cupo.

Piene, morbidose e truccate alla perfezione: così devono essere le labbra, messe in risalto da lipstick sempre più seduttivi. In questa stagione trionfa il rossetto rosso, nella nuance classica e in quelle più profonde. Ecco i consigli di Mode d'ogni tempo per non sbagliare.

Come si mette
Il rossetto rosso sta bene a tutti ed esiste un rosso per ogni persona. Il look più glamour a Natale e Capodanno è lo smoky eyes con le labbra rosse. Per le donne dai colori più "caldi" lo consigliamo nei toni dei marroni, mentre per le "fredde" la variante in nero e grigio.
E sulle labbra il rossetto rosso: a chi non si sente completamente a proprio agio con il colore così com'è, intenso e vibrante, consigliamo di stendere prima del rossetto un lip balm e poi applicare il colore con le dita, picchiettando. Per un'applicazione perfetta partire dal centro e proseguire verso l'esterno, per labbra un po' imbronciate ma sexy.

Bocca sensuale
Prima di tutto, le labbra sensuali hanno bisogno di un scrub dedicato a loro, da fare due volte la settimana. Usare burro di cacao e miele (che ha proprietà lenitive) e uno spazzolino dalle setole morbidose, per rendere più lisce. Applicare sia il correttore sia il fondotinta anche sulla bocca, poi con una matita specifica ridisegnare il contorno della labbra "allargandolo" non più di u millimetro. Sfumare la matita verso l'interno e stendere il rossetto utilizzando un pennellino.


Simonetta