"Vuoi farmi un piacere?
Questo mio amico, Stefano, direttore d'una industria d'acciaio, è continuamente e diabolicamente indaffarato. Clienti, officine, operai, tratte, sconti, forniture. E milioni: tanti milioni.
Vuoi farmi questo piacere?"
"Sentiamo".
"Tieni questi biglietti da cinquanta. Non spalancare gli occhi. So quello che pensi in questo momento: Ah, se fossero i miei! E invece non sono tuoi. Beh, corri in banca. Fammi un assegno circolare da cinquecento, intestato a questo nome. Mettilo in questa bura e spedisci per assicurata. Hai ben capito? Ho una fretta spaventosa: un ordine improvviso: fra dieci minuti devo partire per Bologna. E fatti vedere, una di queste sere, a casa mia. Ricordatene. E mi raccomando l'assegno e l'assicurata. Ciao. Arrivederci".
Rimise in moto la macchina e scomparve.
Piazza Castello era ovattata di nebbia. Le undici del mattino. Una giornata tediosa. Gianni non sapeva dove andare. E lo infastidiva tutta questa gente che gli passava vicino, che lo urtava, che correva, si affannava. In galleria pochissima gente. Soliti gruppetti d'artisti; qualche parola scritta e riscritta sui muri; soliti ragazzini a spasso e non a scuola.
L'aria era grigia e sporca. Ma nel grande bar dove Gianni entrò, l'atmosfera era diversa. C'erano i paralumi d'un color rosa confetto, le poltrone invitanti, un silenzio piacevole, ch3e offriva conforto e raccoglimento.
"Un campari".
Dal suo postici d'angolo, Gianni vedeva un pezzo dell'ottagono della galleria. Una libreria sbandierava le ultime novità editoriali. Un'agenzia di viaggi decantava le vacanze più belle. Dieci giorni a Zanzibar. Una settimana a Vienna. Maggio a Malindi...
Improvvisamente una giovane donna fece il suo ingresso, lasciando dietro di sé una scia di buon profumo; sedette al tavolino accanto al suo. Una tipa interessante, una tipa... deliziosa: ecco l'aggettivo esatto. Aveva una giacca lunga grigioperla, fliente, come s'usavano all'epoca; un cappellino strano, molto piatto, che assomigliava...
Gianni rinunciò al paragone: ad ogni modo, le stava molto bene. Il viso era davvero d'un ovale perfetto; gli occhi vellulati, come quelli d'una gazzella: benché in vita sua non avesse mai visto una gazzella.
La guardò attentamente. Nulla. Sembrava non essersi accorta della sua modesta presenza. Aveva preso dalla borsa un magnifico astuccio e si era accesa una sigaretta fatta a mano. Sì: lo ammalinconiva, ecco. Pensava che nella sua breve o lunga vita non avrebbe mai avuto una donna simile. Ed era davvero disgustato dalle avventurette con donne insignificanti. Desiderava avere una bellissima donna al suo fianco; una donna che indossasse un magnifico abito all'ultima moda; scarpe bellissime; un cappellino grazioso. Una donna, insomma, profumata, vivace, istruita. E invece, nulla. Per consolarsi, Gianni guardava allora la donna elegenatissima che prendeva il suo caffè con mosse da regina di corte. Che donna. Aveva le mani bianchissime, soffici; le unghie scarlatte, certe labbra e certi denti bianco splendenti...
Gianni tossicchiò. Si curvò un po' verso di lei, tentando anche un sorrisetto. Nulla. Poi lo onorò d'uno sguardo indifferente, gelido, che li disarmò. Gianni siguardava istintivamente nello specchio che aveva di fronte. Era palliduccio anzichenò; la sua cravatta non era più nuova, era evidente; il suo abito non era proprio all'ultimo grido; e la sciarpa che l'avvolgeva negligentemente il collo, per esempio, era un po' sbiadita. Tutti questi particolari li notava soltanto ora, in quell'ambiente di lusso. Naturalmente.
"Cameriere".
Un'idea bislacca. Voleva pagare con uno di quei bigliettoni da cinquanta del suo amico Roberto. Dieci biglietti da cinquanta. Una piccola ricchezza. Sfogliò negligentemente il mazzetto, ne prese uno con suprema noncuranza e lo gettò teatralmente sul tavolino. Il cameriere s'inchinò: potenza odiosa del danaro.
Oh, oh! Anche la bellissima donna, se ne accorse immediatamente, aveva lanciato uno sguardo dalla sua parte; prima con noncuranza, poi con estrema attenzione. Il suo viso s'era come raddolcito; un impercettibile sorriso aveva stirato le sue labbra purpuree. Lo guardava con amabilità, ora. Gianni ne approfittò. Arrischiò una frase, sciocca purtroppo: ma in quel momento non ne aveva altre a sua disposizione.
"Fuori c'è un'aria davvero gelida".
"Sì. E questa nebbia, poi, che immerge la città in uno smisurato bicchiere di latte, è odiosa".
Parlava bene. Bellissima la similitudine del bicchiere di latte. L'accento tuttavia tradiva le sue origini: non appariva italiana. Forse dell'est... anzi, nordica. Ma questo non aveva importanza: quella voce era deliziosa, da contralto; denti madreprlacei e labbra sensuali.
"Permettete?"
Quando una persona ha fogli da cinquanta in tasca può permettersi qualsiasi atto, anche se condannato severamente dalle rigide regole della galanteria. Si sedette vicino a lei. La fissò lentamente negli occhi.
"Il sole..." mormorò, "verso mezzogiorno è come un bimbo malato. Guardate lassù gli effetti di luce".
"Certamente".
Uscirono. Era alta e camminava ondulando sulle anche nervose. Sguardi astiosi delle donne; di ammirazione dei giovincelli. Crepate tutti, pensò. Comminarono. Vie del centro. Si chiamava Elina e viveva a Torino da un paio di mesi, sola, in un appartamento in un quartiere elegante. Parlava con estrema grazia.
"Torino è una bellissima città. Peccato che il clima d'oggigiorno..."
"Ma la sera," disse subito Gianni, "la sera ci sono i locali scintillanhti di luce. E la Mole Antoneliana a vegliare sulla città."
Gianni arrischiò poi una domanda che lo premeva sulle labbra:
"E se vi chiedessi di rivedervi ancora, domani sera, per esempio? Alle nove, all'ingresso della galleria".
Elina rise, minacciandolo scherzosamente col dito.
"Provate a chiedermelo. Chissà?"
L'indomani sera, alle nove, all'ingresso della galleria, Gianni quasi non ci credette: Elinia arrivò, ancora più bella ed elegante, con quei lunghi capelli mossi di un biondo splendente.
"Puntuale?"
"Puntualissima. E sono felice. Tutt'oggi è stato un tormento per me. La vostra deliziosa immagine m'ha perseguitato come un creditore, come un ufficiale giudiziario".
La similitudine, come a tutti quelkli che non avevano mai avuto a che fare con un ufficiale giudiziario, la fece ridere di cuore.
"Dove si va'" chiese, guarandosi attorno.
Poche storie: aveva in tasca solamente un miserabile pezzo da cinquanta. Quella mattina, dopo il piacevole incontro al bar, era dovuto andare in banca per rispettare il favore che aveva promesso al suo amico Roberto. Ora, quella sera, Gianni non poteva più sfogare una presunta ricchezza. Aveva attinto da parte dei suoi risparmi, ma non poteva fare di più. La prospettiva di un nuovo lavoro era ancora troppo lontana.
Quella sera avrebbe dovuto improvvisare, in qualche modo. Cercò di attrarre la bionda Elina in un locale modesto.
"Se andassimo", disse con un vocino da telefono, "se andassimo al cinema? C'è questo nuovo film..."
"No", rispose decisa. "Ci sono state di recente, nessun film che ne valesse la pena. Quindi neanche per sogno. Andiamo invece al Teatro Regio, c'è una bellissima opera. Andiamo?"
E sia! Andiamo, per tutti gli dèi. Al Teatro Regio! pensò Gianni assecondando i desideri della giovane donna. Poi però si mise a riflettere: Oddio. Non c'era mai stato. Che prezzi vi praticavano? E poi: quali posti? Ma inarrestabile Elina lo tolse da ogni incertezza.
"Prendiamo due poltrone tra le prime fila. Voglio vedere da vicino gli abiti di scena".
"Due poltrone tra le prima fila, se possibile", chiese con un soffio di voce al bigliettario chje troneggiava dentro alla sua postazione, sicuro e inesorabile. "Quanto?"
"Due poltrone? Vicine? Bene. Siete fortunati, abbiamo ancora la terza fila. Numeri 8 e 9. Sessantacinque e venti, a testa".
"Eh?"
Quella sera Gianni ed Elina non entrarono mai al Teatro Regio, poiché egli aveva in tasca soltanto uno stramaledetto pezzo da cinquanta. Cercò in ogni modo di trascinarsi fuori da quella situazione nella maniera meno umiliante possibile, ringraziando il bigliettario e allontanandosi senza fornire spiegazioni dirette, quasi trascinando con sé Elina, che nel frattempo lo guardava con aria imperiosa. Si ritrovarono in un angolo deserto della piazzetta, e a Gianni sembrà che anche la Mole lo guardasse con infinita commiserazione. Anche Elina continuava a guardarlo con fare meravigliato, in attesa impaziente di una sua spiegazione. Lui le parlò con calma, con un filo di vera tristezza nella voce.
"Elina, ascoltatemi, vi prego. Non sono ricco come ho voluto farvi credere. Non posseggo sfacciati bigliettoni o carte scintillanti. Quelli che avete visto ieri? Ecco, lo confesso: non erano miei. Un mio amico, Roberto, presidente di un'industria, me li aveva dati per fare un assegno bancario. Ha avuto sempre molta fiducia in me. Povero ma onesto, fino alle lacrime. Pazienza. Io? Che cosa faccio? Lavoretti saltuari. Piccole cose che mi consentono di vivere modestamnte".
Silenzio. La piazzetta era sempre deserta. Ma ecco, una macchina passò vicino a loro, quasi sfiorandoli, fermandosi poco lontano. Ne scese un uomo, alto, aitante: il suo amico Stefano.
"Eccolo", sussurrò colpito. "Eccolo quel mio amico di cui parlavo. E' lui il fortunato proprietario di quei soldi. Stefano... ricordo che da bambino non era che uno scimunito. E invece ora..."
Elina lo guardò. Gianni insistette: "Elina, conosco un bel locale in periferia. Vi offrirò qualcosa da bere, lì poi hanno sempre della buona musica e..."
Improvvisamente si accorse che Elina non lo ascoltava. Lo guardava invece distrattamente. All'improvviso sorrise: ma per Gianni fu quasi uno spavento. Il sorriso era accompagnato da due occhi freddi, lontani. Lo stava giudicando. Poi la giovane donna si passò una mano sulla fronte.
"Ho una forte emicrania", disse con voce indifferente. "Non mi sento bene. Devo andare."
Gianni cercò di nascondere la sua delusione e la profonda tristezza che stava per abbattera le mura che difendevano a stento il suo stato d'animo. Ecco, non le interesso più. Ma Elina continuò.
"Senti, potremmo rivederci domani sera. Va bene? Stesso posto, stessa ora."
Il giovane uomo si sentì quasi risorgere: il suo corpo fu pervaso da una nuova, sensazionale scarica di energia positiva. Sì! Sono ancora in corsa!
"Ti ringrazio per la serata. Prenderò un taxi per rientrare, così in pochi minuti sarò a casa. Buona notte, a domani".
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